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Esperienza d’ascolto: il Red Book sovracampionato

Aggiornamento: 10 mar 2023

Esperienza d'ascolto raccontata dall'espressiva penna di un nostro affezionato cliente.



Da qualche giorno ho ripreso una abitudine che il Covid aveva impedito per un lungo periodo: l'ascolto, con amici musicisti, di piccole selezioni organizzate a hoc.

In questo caso mi sono affidato alle orecchie esigenti e smaliziate di due amici pazienti, e sapienti. Si tratta, in particolare, di due musicisti che praticano il jazz: uno in modo professionale, e, direi, universalmente celebrato; l'altro, in modo più discontinuo ma comunque incredibilmente sensibile e competente.


Amo molto uscire dai generi: ascoltare con un jazzista Mingus, Ellington, Konitz, Bill Holmann o Art Pepper è gratificante e incredibilmente istruttivo; ma siamo dentro ad un ascolto non cieco, pieno di sapienze, di competenze assimilate; insomma di profondo amore e professionalità.


Per mettere a nudo le possibilità del mio piccolo impianto, nobilitato dallo Streamer Think Digital Audio, secondo me ci vuole altro.

Bisogna mettere il musicista di fronte all'inatteso, per imporgli di sprofondare in un terreno che non sia completamente suo.

In questo modo si ottengono due risultati, entrambi notevoli: l'apertura di un mondo descrittivo che viene costruito con spontaneità, e senza troppi appoggi, che non siano quelli di una musicalità pura.


Una tensione fortissima verso l'ascolto, che diventa, come sempre dovrebbe essere, l'unico appoggio stabilizzato. Anche qui, sarebbe giusto essere precisi.

Un ascolto musicale non è mai stabilizzato: scorre nel tempo, anche di fronte a brani noti e che crediamo di conoscere bene. In questo caso, anche la postura corporea insegna qualcosa.


Quando ho detto - per far ascoltare loro come funzionava il gioco del sovracampionamento - che avrei fatto ascoltare una Sonata di Beethoven registrata dal vivo, da un apparecchio professionale che non operava nella esattezza di uno studio di registrazione e che la qualità della registrazione era buona ma non eccellente, ho ottenuto dai miei ospiti un atteggiamento sorprendente e rivelatorio.

Hanno chiuso gli occhi e immediatamente si sono immersi in un panorama acustico dove, nelle loro parole, sentivano aprirsi uno spazio FRA gli altoparlanti; una dimensione profonda, che li inghiottiva all'indietro.

Tale aspetto è emerso subito, grazie alla peculiarità della scrittura della Sonata e del modo di pensarla da parte di Richter.

Si parte infatti da un accordo arpeggiato, in piano; un piano che con Richter oscilla subito fra il piano e il pianissimo. Il pedale, come prescritto da Beethoven, è generoso, e questo impone un bel problema al pianista, che deve tarare le intensità, col pedale abbassato, rischiando di sporcare l'armonia.


Ascoltando, il mio amico ha osservato subito: “che effetto, tra il colore e l'armonia”. Questo non deve stupire: i jazzisti, per lavoro, ascoltano con l'orecchio teso a cogliere le potenzialità di quanto accade, chiedendosi dove sono ritmicamente, dove sul piano formale, dove sul piano degli aspetti strutturali del brano.


Giudizi immediati come questo indicano che la temperatura sta salendo.


Non appena dal piano si passa al forte, i miei amici hanno tirato la testa indietro, e hanno cominciato spontaneamente a scandire i piani dinamici.

Letteralmente, davanti a noi, si è aperta la dinamica come profondità del suono e come incombenza sull'ascoltatore. Il bello è che questo accadeva su una buona registrazione dal vivo, senza troppi strumenti microfonici.

Avendo ascoltato spesso Richter in concerto; io percepivo benissimo il suo suono, il modo sorprendente di articolare il fraseggio, il colore iridescente del suo tocco, il cristallo nei bassi e il velluto trasparente sul registro medio acuto. Ma anche la smodatezza di certi fortissimo, di tanti mezzo forte, con cui Richter cerca di rendere la ruvidità di questa scrittura, sperimentalissima, che nell'Op. 31 prende una quantità di direzioni vertiginose.

Il mio amico ha continuato a dire che l'ascolto non era faticoso, per quanto pieno di dettagli, “come quando ti affacci sulla scena live”.


E le condizioni di ascolto a casa mia sono, sul piano ambientale, lontanissime dalla perfezione audiofila. Eppure, era perfetto.

Come era perfetto, quando siamo tornati su Konitz, e mi ha detto: “con eccellente approssimazione, questo è il suono di Konitz”, (lui ci ha suonato, quindi prendiamolo per buono).


Anche lì la cosa che lo colpiva, in un duo con Mangelsdorff, era il livello di fusione fra gli strumenti; una grande continuità che le mie Spendor catturavano dal file aperto in HQplayer.


Un'ultima osservazione: alla fine ho voluto provare con un quiz, proponendo Art Pepper con Stanley Cowell.

Dopo pochi secondi, Pepper è stato, diciamo così, individuato (per forza, quel suono è inconfondibile). Ma qui l'aspetto interessante è stato il commento sul pianoforte (accade spesso: se fai focalizzare uno strumento, quella fonte viene in evidenza. Lo spiega bene Husserl, perché devo farlo io?).

Il pianoforte di Cowell non era paragonabile a Richter, proprio per il calore del tocco, e, naturalmente, per la qualità elevata della ripresa in studio.

E questo mostra che sarebbe sempre meglio partire da incisioni buone, non eccelse. Perché in questo modo non si saturano tutti gli aspetti di un ascolto.

Grazie Think Digital Audio.


 

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